Equità e cittadinanza organizzativa: verso una nuova alleanza tra generazioni? 

La questione del rapporto tra diverse generazioni all’interno dei luoghi di lavoro sta assumendo una centralità crescente sia nel dibattito tra studiosi sia nell’agenda degli addetti ai lavori all’interno delle organizzazioni.

L’allungarsi delle aspettative di vita e la revisione dell’età di pensionamento – per motivi di sostenibilità finanziaria dei sistemi previdenziali nazionali – determinano un aumento del periodo trascorso dalle persone al lavoro. Lavoratori che, alle condizioni del passato, sarebbero già andati in pensione, si trovano a proseguire la loro esperienza professionale per un tempo supplementare, costretti a confrontarsi con tecnologie sempre nuove e persone molto più giovani.  

In parallelo, l’accelerazione dei cambiamenti sociali e culturali – spinta dalle nuove tecnologie digitali – genera un accorciamento dei cicli generazionali. In parole semplici, se tra i nostri bisnonni e i nostri nonni le differenze di stili di vita erano ridotte, in un mondo in lento cambiamento, quelle tra noi e i nostri figli saranno sempre più ampie. È esemplificativo, sotto questo profilo, lo spartiacque rappresentato dell’essere “nativi” o “migranti” digitali

Il risultato è che nei luoghi di lavoro si sta concentrando un numero crescente di generazioni, caratterizzate da differenze marcate di valori, atteggiamenti e comportamenti. Diventa allora cruciale per le organizzazioni ridurre al minimo le disuguaglianze e il conflitto intergenerazionale che possono tradursi in una delle principali voci di costo: peggioramento della qualità del clima interno; perdita di efficienza operativa; diminuzione dell’engagement; elevato turnover. Al contrario, una efficace gestione del generation mix può consolidare il vantaggio competitivo creando un ambiente organizzativo in grado di favorire l’integrazione, l’inclusione e la valorizzazione reciproca di persone appartenenti a generazioni differenti

Sono svariate le strategie che le organizzazioni possono adottare per raggiungere tali obiettivi e costruire ambienti di lavoro equi ed inclusivi in grado di attrarre, fidelizzare e ingaggiare le persone. Strategie che richiedono un agire coordinato di diversi attori: il Vertice, responsabile di chiarire la visione e l’impegno dell’organizzazione sul tema; la funzione HR, responsabile di costruire sistemi e processi di gestione e sviluppo delle persone coerenti; infine, i people manager, a cui spetta l’implementazione quotidiana di comportamenti di leadership ispirati a tali principi di equità e integrazione. In questo contributo ne evidenziamo due, a nostro avviso prioritarie. 

Non sono possibili politiche e sistemi universalistici di gestione delle risorse umane. Le diverse generazioni hanno bisogni differenti in termini di servizi offerti da parte dell’organizzazione. Ad esempio, in termini di welfare: un giovane sarà interessato servizi per il tempo libero o agevolazioni per un mutuo; mentre una persona più senior gradirà un sostegno per lo studio dei figli o per le spese sanitarie. Si possono allora utilizzare le logiche del marketing delle relazioni con il personale, dove l’efficacia è prodotta dalla personalizzazione sia dei prodotti/servizi proposti sia del processo di ascolto e comunicazione con il cliente interno. 

Occorre valorizzare in chiave di business le competenze e le attitudini di ciascun gruppo generazionale. Ogni generazione deve essere valorizzata per lo specifico contributo che è in grado di apportare all’organizzazione. Nell’attuale contesto competitivo, sono infatti tutte necessarie per avere successo, anzi è proprio il loro intrecciarsi e interagire reciproco che genera valore aggiunto in termini di creatività e innovazione. In termini concreti tale contaminazione può essere favorita da azioni di mentoring e di reverse mentoring. Così, ad esempio, il collega senior potrà affiancare il nuovo entrato trasferendo il proprio bagaglio di conoscenze ed esperienze, vale a dire quell’insieme di saperi, spesso taciti, che costituiscono la base di una qualunque professionalità e che si imparano meglio sul campo per imitazione e osservazione piuttosto che in un contesto formale di formazione. Il giovane a sua volta potrà ricambiare aiutando il collega senior a familiarizzare con le nuove tecnologie digitali scoprendo così nuovi modi di operare, organizzare il lavoro e progettare i processi comunicativi. 

In sintesi, modelli organizzativi e approcci manageriali flessibili e incentrati su un’idea di equità e non di egualitarismo possono realmente favorire una migliore integrazione e collaborazione tra generazioni. Naturalmente, a patto di essere pronti da entrambi le parti ad abbandonare i luoghi comuni e gli stereotipi che oggi affollano fin troppo il dibattito pubblico: “i giovani non hanno voglia di sacrificarsi e di fare la gavetta”, “i senior sono poco aperti al cambiamento e per definizione chiusi di fronte alla nuove tecnologie”. Pregiudizi che bloccano il dialogo, non permettono la contaminazione e, in definitiva, non portano da nessuna parte le persone e le organizzazioni. 


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