Disabilità al lavoro 

Una relazione difficile con molte opportunità.  

Da qualunque parte la si osservi la relazione tra disabilità e lavoro è difficile e complessa. Rimane sempre alto il numero di persone con disabilità che non riesce a trovare una occupazione così come rimane sempre alto il numero delle aziende che risultano avere ancora dei posti “scoperti”, cioè di avere un numero minore di lavoratori con disabilità, rispetto a quelli previsti dalla norma.

Non mancano però le buone notizie come quella del numero crescente di assunzioni di lavoratori con disabilità assunte da imprese non soggette all’obbligo di legge: cresce anche il numero di imprese che decidono di prestare una particolare attenzione al tema dell’inclusione lavorativa, come scelta etica ma anche come elementi di miglioramento complessivo del proprio agire. 

Un rapporto complesso, quindi, in continuo divenire. Del resto è la stessa definizione di disabilità che, secondo la Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità è “in continua evoluzione”: uno sviluppo dove però si deve dare per acquisito come le menomazioni e le compromissioni non possano più sovrapporsi automaticamente con la disabilità di una persona. In altre parole, non si può più considerare “disabile” una persona solo per via delle sue difficoltà di movimento o di vista o di udito e neanche in campo cognitivo o relazionale e neanche quando le situazioni sono complesse e la persona richieda un forte bisogno di sostegno. Diventano persone con disabilità solo “coloro che presentano durature menomazioni fisiche, mentali, intellettive o sensoriale che in interazione con barriere di diversa natura possono ostacolare la loro piena ed effettiva partecipazione nella società su base di uguaglianza con gli altri”. Questo infatti dice la Convenzione Onu sui diritti delle persone con disabilità che è stata, nel 2009, ratificata anche dall’Italia e che quindi fa parte, a pieno titolo, delle norme italiane. 

Anche nel campo dell’inclusione lavorativa non è più possibile occuparsi solo di conoscere limiti e potenzialità delle persone con disabilità ma è anche necessario interrogarsi su quali siano le barriere ancora presenti e persistenti, che impediscono ancora oggi a molti di lavorare “in condizioni di uguaglianza con gli altri”. Non è un caso, infatti, che gran parte delle politiche oggi attive risultino efficaci per sostenere l’inclusione lavorativa delle persone il cui profilo corrisponde a quello di “categoria svantaggiata” (per cui la norma esiste) ma le cui caratteristiche siano abbastanza facilmente compatibili con l’attuale organizzazione del lavoro nella nostra Regione. La questione si complica quando, in un modo o nell’altro, l’ambiente sociale e quello lavorativo risultino così densi di barriere da rende molto difficile o impossibile l’accesso al lavoro. 

Spesso in questi casi, si liquida la pratica, con il giudizio di non idoneità lavorativa. Senza entrare nel merito degli aspetti legali, è oggi necessario cambiare lo sguardo e il punto di vista sul problema, cercando di esercitarci a riconoscere le barriere che impediscono a quella persona di lavorare in quella azienda. Un esercizio non facile ma necessario,

Non facile perché ancora oggi fatichiamo a riconoscere la presenza delle barriere architettoniche, di cui pure si parla da ormai quarant’anni. Barriere di cui si parla ma che sono ancora densamente presenti nelle nostre città, nei nostri paesi e ancora in tanti ambienti di lavoro. È giunto il momento di aumentare lo sforzo e di sforzarci di riconoscere l’insieme delle barriere ambientali, ad esempio, nel campo della comunicazione. Uno sforzo ancora maggiore, ma ancor più importanti, ci viene richiesto per imparare a riconoscere le barriere comportamentali, ovvero quelle create dalle nostre azioni, dalle nostre convinzioni, pregiudizi e aspettative. 

Riconoscere le barriere è ovviamente solo il primo passo: non è detto infatti che saremo sempre in grado di affrontarle e superarle. Ma se non le riconosceremo non potremo mai abbatterle. 


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