Impatto, la misura della responsabilità

Il mandato per questo mio breve scritto era chiaro: un documento che potesse introdurre al tema dell’impatto sociale, alle opportunità che genera l’imprenditoria ad impatto e ai limiti che ancora oggi si incontrano per chi opera sul tema.

Nel frattempo, il contesto che ci circonda è profondamente cambiato, tornando a sollevare questioni che – quantomeno in Europa – pensavamo di aver superato. La guerra, la fuga di civili e di conseguenza la necessità di strutturarsi per l’accoglienza, i movimenti del mercato, le speculazioni e l’importante ondata di aumenti sui beni energetici e alimentari. Le imprese che riducono la produzione, che chiudono, il lavoro che viene meno, le conseguenze di una crisi di cui non si intravedono chiaramente i confini e la necessità di farvi fronte con gli strumenti che la politica, l’economia, il sociale hanno a disposizione.

Nonostante il suddetto panorama, e anzi, ancor più all’interno di una situazione di crisi, sappiamo di poter contare su modalità e approcci che possono guidare l’azione economica e le implicazioni sociali dell’agire collettivo. Tra questi approcci, senza dubbio l’opera delle “organizzazioni ad impatto” è una risorsa che in diverse fasi e congiunture difficili nella storia del nostro Paese, ha portato ad inversioni di rotta, a resistenza e resilienza di comunità e territori.

Quando parliamo di organizzazioni ad impatto ci riferiamo a tutte quelle realtà collettive che, tramite la propria attività e spesso attraverso specifiche forme di governance, mirano a creare un impatto sociale e socio-ambientale positivo.

L’impatto sociale, comunemente definito come l’insieme di conseguenze sulle persone e sulle comunità che risulta da un’azione, un’attività, un progetto, un’impresa, un programma o una politica, è il driver delle organizzazioni suddette.

Se guardiamo al sottogruppo imprenditivo di tali organizzazioni, e focalizzandoci sul panorama nazionale, è indubbio che la principale forma di impresa che possa definirsi “impresa ad impatto” è l’impresa sociale stessa. Nella propria mission(1), infatti, essa coniuga l’esercizio in via stabile e principale di un’attività d’impresa con l’interesse generale, l’assenza di scopo di lucro, le finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale. L’impresa sociale intrinsecamente genera un impatto tramite la propria governance, poiché adotta modalità di gestione responsabili e trasparenti e favorisce il più ampio coinvolgimento dei lavoratori, degli utenti e di altri soggetti interessati alle attività.

Quale altra tipologia d’impresa, si può dire alla stessa stregua orientata a generare simili “conseguenze” sui propri stakeholder?

Tuttavia, l’automatismo per cui le imprese sociali (in Italia perlopiù cooperative sociali, ma non solo) dovrebbero essere le realtà maggiormente orientate alla generazione di impatti positivi, non può esimersi dal dover provare e rendicontare tale legame. La misurazione d’impatto diventa dunque uno strumento potente, non solo per dimostrare la bontà delle azioni realizzate, ma l’identità stessa dell’impresa sociale, nel rispetto del tracciato normativo e delle finalità che ad essa sono affidate. 

La misurazione d’impatto è uno dei temi più dibattuti nell’ultimo decennio, all’interno delle riflessioni sull’impresa sociale e sulla responsabilità sociale della stessa. Se per l’impresa sociale la rendicontazione economica resta necessaria ma non sufficiente, per dimostrare efficacia ed efficienza, il passaggio dalla rendicontazione di sostenibilità (tradizionalmente: il bilancio sociale) alla misurazione d’impatto si rende necessario per definire se i cambiamenti generati dal servizio/progetto hanno portato agli obiettivi che ci si era prefissati quando lo si era programmato. Nell’ottica per cui l’impresa sociale esercita finalità civiche, solidaristiche, e di utilità sociale, porre l’accento sul reale cambiamento generato è elemento essenziale per valutare il raggiungimento di tali finalità. La maggioranza dei beneficiari dell’impresa sociale sono Persone (più dell’80% delle attività dell’impresa sociale riguarda l’assistenza)(2); cercare metodi e strumenti per verificare l’impatto sul loro benessere, sul miglioramento delle condizioni di vita, di lavoro, di socialità (…), è fondamento della durabilità stessa dell’impresa.

Per supportare l’impresa sociale nella misurazione d’impatto, il Codice del Terzo Settore ha dato importanti strumenti operativi, perlopiù racchiusi nella L. 106/2016 che definisce la Valutazione d’Impatto Sociale, o VIS, come “la valutazione qualitativa e quantitativa, sul breve, medio e lungo periodo, degli effetti delle attività svolte sulla comunità di riferimento rispetto all’obiettivo individuato”. Con il decreto 23/07/2019 del Ministero del Lavoro, concretamente vengono emanate le Linee guida per la valutazione d’impatto degli enti del terzo settore(3). Non vorrei deludere le aspettative di chi legge, ma le linee guida non definiscono un metodo matematico o scientifico che consente l’automatica applicazione all’interno della propria realtà. L’intento delle linee guida è definire il contesto, gli obiettivi, i destinatari della VIS, specificando che è facoltà dell’ente la scelta delle metriche per la valutazione d’impatto più adeguate alla tipologia di attività e progetti svolti. Fondamentali sono anche in questo caso sono le domande da porsi, considerando che l’insieme di dati, analisi qualitative e quantitative che verranno messe in campo tramite la VIS dovranno far emergere e conoscere: il valore aggiunto sociale generato; i cambiamenti sociali prodotti grazie alle attività; la sostenibilità dell’azione sociale.

Proprio quell’azione sociale, responsabile e ad impatto, che caratterizza le organizzazioni che spesso generano le risposte di cui parlavo all’inizio del presente scritto. Le imprese sociali, negli ultimi anni, hanno dimostrato resilienza e adattabilità, hanno continuato ad accrescere il numero dei lavoratori e quindi delle possibilità di inclusione anche dei più fragili(4), hanno avuto un ruolo fondamentale nella micro-accoglienza diffusa. Dal punto di vista ambientale hanno rigenerato luoghi con attenzione alla sostenibilità e ai contesti, hanno supportato i consumatori senza speculazioni e garantendo l’accesso a servizi, a prodotti, a diritti. Lo hanno fatto, e continuano a farlo, nel rispetto dei propri obiettivi e dei mandati delle loro governance, ma non possono – ormai anche per mandato normativo – sottrarsi dal rendicontare, in ottica di accountability,  l’impatto e i concreti cambiamenti generati.

Non vorrei però lasciar intendere che il tema dell’impatto sociale si consideri peculiarità esclusiva dell’impresa sociale. È importante sottolineare che l’impatto sociale può essere generato anche da altre tipologie di impresa, indipendentemente dalla forma giuridica o dallo scopo di lucro. Riprendendo il titolo di un articolo(5) l’impatto sociale è tipico delle imprese “generative”, delle imprese che si considerano soggetti capaci di contribuire a costruire valore economico, sociale e ambientale. Non è più la governance a definirne il perimetro, ma l’obiettivo di generare impatti sociali per la collettività. Parliamo di B-Corp, ma anche di imprese profit, che tramite l’attività di impresa, investono nella risoluzione di problemi che coinvolgono su larga scala la popolazione.

Nel suo ultimo libro(6),  Sir Ronald Cohen, rappresenta con esplicita chiarezza alcuni casi di imprese che stanno generando cambiamenti massivi, il cui impatto per il benessere di intere fasce di popolazione, o di luoghi della Terra, dipende da investimenti lungimiranti, passione per il problem solving, coraggio, tecnologia e – perché no – una buona dose di capitali. La dimensione di questo tipo di fenomeno, a differenza di quanto descritto poc’anzi come panorama di imprese sociali italiane, è internazionale, e sta avendo sempre più presa per chi vede, in tali azioni ad impatto, possibilità di rendimenti. In tale ottica, soprattutto quando si entra nel campo minato del “for profit”, diventa importante definire metriche di misurazione e valutazione univoche, validate e standardizzate a livello internazionale, per consentire che solo i meritevoli possano beneficiare di finanza dedicata o agevolazioni specifiche.

Qualcosa in Italia si è mosso, ma ancora non si è raggiunto l’obiettivo. Secondo il decreto legislativo 254/2016, che recepisce la direttiva europea 2014/95/UE, in Italia le grandi imprese considerate enti di interesse pubblico (banche, assicurazioni, società quotate) con almeno 500 dipendenti e uno stato patrimoniale superiore a 20 milioni o ricavi di almeno 40 milioni €, sono tenute a realizzare una DFN (Dichiarazione non Finanziaria) in cui si riportano aspetti di carattere sociale e ambientale.

Secondo l’Osservatorio Nazionale sulla Dichiarazione non Finanziaria(7), la maggior parte delle imprese considerate utilizza le Linee Guida GRI(8), strumento tra i più noti e diffusi per quanto attiene la sostenibilità aziendale. Si tratta senza dubbio di un primo livello, diverso ma funzionale ad una misurazione d’impatto, che ricordiamo non si deve limitare a descrivere quanto realizzato, ma deve puntare a misurare il cambiamento generato. 

A livello internazionale, il dibattito sull’evoluzione normativa che dovrà stabilire la tassonomia delle attività ESG (intese come le attività che mirano alla realizzazione degli Environmental, Social and Governance goal lanciati dall’Onu) è ancora aperto. 

Solo condividendo, dunque, modalità e coefficienti di misurazione validati sul tema, l’impatto potrà entrare negli elementi di giudizio di tutte le tipologie di impresa, a livello nazionale ed internazionale, per guidare scelte di consumo, di lavoro e di investimento. 


(1) Ai sensi del Decreto legislativo n. 112 del 3 luglio 2017, modificato dal Decreto legislativo n. 95 del 20 luglio 2018, che, in attuazione della Legge delega n. 106 del 6 giugno 2016, ha provveduto alla revisione della disciplina di settore.

(2) Chiaf E. (2021) Il contributo dell’impresa sociale alla creazione di valore e all’occupazione. Aspetti quantitativi e qualitativi. In Borzaga C., Musella M. (a cura di) L’impresa Sociale in Italia. Identità, ruoli e resilienza. Trento: Iris Network. Website: www.irisnetwork.it. ISBN: 978-88-909832-9-0

(3) DECRETO 23 luglio 2019. Linee guida per la realizzazione di sistemi di valutazione dell’impatto sociale delle attività svolte dagli enti del Terzo settore. (19A05601) (GU Serie Generale n.214 del 12-09-2019) https://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2019/09/12/19A05601/sg

(4)Carini C., Lori M. (2021) Dimensioni e caratteristiche delle imprese sociali. In Borzaga C., Musella M. (a cura di) L’impresa Sociale in Italia. Identità, ruoli e resilienza. Trento: Iris Network. Website: www.irisnetwork.it. ISBN: 978-88-909832-9-0

(5) Tittarelli A. (2021) La scommessa dell’impresa “contributiva”. Rivista Impresa Sociale. Trento: Iris Network. Web site: https://www.rivistaimpresasociale.it/forum/articolo/la-scommessa-dell-impresa-contributiva

(6) Cohen R. (2022) Impact. La rivoluzione che sta cambiando il capitalismo. Luiss University Press

(7) Osservatorio Nazionale sulla Rendicontazione Non Finanziaria, 3° edizione, marzo 2021. Deloitte. Università di Pavia, Dipartimento di scienze economiche ed aziendali. https://www2.deloitte.com/content/dam/Deloitte/it/Documents/audit/OsservatorioDNF3_Deloitte.pdf.pdf

(8) https://www.globalreporting.org