Una partnership per formare i talenti migliori per restituire valore alla comunità.

È l’obiettivo del Cottino Social Impact Campus e di Fondazione CRT con Talenti per la Comunità, il nuovo percorso formativo destinato a persone impegnate nello sviluppo civile, sociale ed economico delle collettività locali il cui approccio multidisciplinare e hands on sarà caratterizzato dalla compresenza di momenti di formazione e di acquisizione di strumenti tecnici di gestione

Tre le aree su cui trasferiamo la nostra value-proposition:

«”Talenti per la Comunità” è un progetto di visione in cui noi come Campus abbiamo riconosciuto la nostra azione. È un percorso formativo con cui divulgare la cultura dell’impatto utile per sviluppare la visione del mondo sostenibile verso la quale tutti noi siamo orientati» ha spiegato Laura Orestano, co-founder e social impact strategist, dalle aule del Cottino Social Impact Campus nel corso dell’Open Day tenutosi lo scorso mercoledì 20 ottobre.

La missione è quella di accompagnare i Talenti per la Comunità fornendo loro, grazie ad una applied tutorship  ed un approccio metodologico di design thinking, strumenti pratici di project management per costruire un reale cambiamento sociale. 

Il Campus porterà dunque tutto il suo know-how metodologico nei quattro moduli del percorso di didattica trasformativa per guidare i partecipanti nell’implementazione del costrutto cognitivo verso la sperimentazione pratica per realizzare dei cambiamenti effettivi

Un ulteriore aspetto innovativo del percorso sarà il modulo formativo progettato ad hoc “Narrare la Comunità” nel corso del quale saranno condivise esperienze, casi di studio e strumenti per interpretare la comunità, per riflettere sui principali dilemmi etici e per costruire una narrazione in grado di rendere coesa la comunità di riferimento.

In questo modulo saranno tre i temi con cui i docenti, Laura Orestano e Guido Palazzo, accompagneranno i partecipanti verso lo sviluppo di nuove competenze per la comunità:

Sarà proprio il Cottino Social Impact Campus la sede di questo percorso:
«Il nostro è un luogo disegnato per sperimentare, per progettare, per accompagnare i nuovi leader di comunità, i futuri makers for impact, verso la costruzione di quel bene comune che il percorso “Talenti per la Comunità” si propone di realizzare»  aggiunge Giuseppe Dell’Erba, business advisor del Campus.

Il percorso si svolgerà da marzo a novembre 2022 e presto sarà pubblicato il bando per iscriversi. 

Per maggiori informazioni sui requisiti di accesso e sulle modalità di partecipazione è possibile visitare la pagina Talenti per la Comunità.

Talenti per la Comunità è un’iniziativa di Fondazione CRT in collaborazione con Consorzio Aaster, Fondazione Cottino e Cottino Social Impact Campus, Consorzio Sociale il Filo da Tessere e si avvale anche di prestigiose docenze in link con la scuola Vivere nella Comunità della Fondazione Nuovo Millennio.


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La sfida condivisa di difendere e preservare la potenza trasformativa dell’impatto sociale.

Abbiamo bisogno oggi di una cultura dell’impatto che sia trasformativa e radicale, le parole che usiamo per parlarne devono essere riempite di significati profondi.

Questo cambiamento, che è prima di tutto culturale, deve essere costruito su tre pilastri.

Il primo: l’impatto sociale e quello ambientale devono andare a braccetto, non possiamo ignorare il modo in cui sono intrecciati.

Il secondo: la nostra interpretazione dell’impatto sociale ha bisogno di essere irrobustita, anche grazie a nuove metriche, perché esiste oggi una sproporzione tra l’attenzione degli attori economici data alle questioni sociali rispetto a quelle ambientali.

Il terzo: per queste ragioni abbiamo bisogno di centri di ricerca e di competenza per l’impatto sociale che permettano di cambiare la nostra idea di innovazione.

I modelli super-funzionali e prestazionali usati fino a ora sono stati guidati prevalentemente dalla tecnologia e hanno bisogno di essere affiancati a modelli di innovazione più adatti al sistema di vincoli definito dalle grandi sfide sociali e ambientali, in modo da portare a una comprensione profonda dei fenomeni.

L’integrità dell’impatto sociale ha bisogno di essere difesa perché solo in questo modo ne possiamo preservare la potenza trasformativa, e questa è una missione non solo coraggiosa, ma anche giusta.

Per questo sono onorato dell’offerta che mi è stata fatta di essere consigliere e scientific advisor del Cottino Social Impact Campus, perché credo nella sua missione.


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L’uomo è la misura di tutte le cose.

pànton chremàton metron anthropon éinai” (Platone, Teeteto, 152a). Queste le parole che Platone mette in bocca a Protagora, padre della sofistica.

Asserzione (e tesi filosofica) decisamente forte, che apre il campo non solo a un (fallace) antropocentrismo da un punto di vista “geografico” – non siamo al centro del mondo (seppure le nostre azioni lo stanno rapidamente distruggendo), né tantomeno dell’universo (c’è il Sole, se consideriamo il nostro sistema, oppure – pare – un buco nero, se ci riferiamo alla Via Lattea) – ma anche a un antropocentrismo epistemologico, per quel che concerne quindi la verità.

Il primato di questa spetta agli oggetti e alle cose, elementi che soli possono dirci se un giudizio è vero oppure no.


C’è però un altro senso in cui può essere interpretata questa tesi, quello dell’impatto sociale. Se il genere umano è la ‘misura’, il metron, allora le nostre azioni (come individui, come individui parte di organizzazioni e come organizzazioni – siano esse profit o no-profit) vanno misurate in base al grado di umanità. Non nel senso di ‘bontà’, bensì all’effetto (positivo) prodotto su un insieme di esseri umani.

Misurare un’azione in base al metro dell’umano significa considerare le conseguenze (passate o future) che determinati progetti possono (o non possono) avere nel migliorare la nostra condizione terrena. Che impatto ha avuto la mia azione? Tradotto, significa: quanto sono riuscito o riuscita a far star meglio (per un periodo x) una determinata popolazione p?

Non bisogna però correre troppo.

Le cose vanno distinte: un concetto va tagliato e da una classe bisogna discernere tutte le sotto-classi che la generano.

In questo senso la mensura protagorea è composta da due differenti concetti:

Dove la prima senza la seconda è cieca, non va da nessuna parte e fondamentalmente ci è abbastanza inutile, e la seconda senza la prima è vuota, un castello in aria fondato e basato su alcunché.

Tramite una serie di indicatori, costruiti ad hoc, ma funzionali alla ricerca di un risultato il più possibile oggettivo, possiamo misurare l’effetto delle nostre azioni, così come il falegname misura l’ampiezza del piano della cucina per capire se riesce a stare entro un determinato spazio. Pronta la cucina, valuteremo la sua efficacia in termini di agevolezza delle “azioni culinarie”, il preparare cibo, aprire il forno e sperare che il mobile non ci crolli in testa. 

Sostanzialmente allo stesso modo procede la valutazione di impatto sociale.

Quale che sia il metodo utilizzato – con relativa metodologia atta a giustificare la bontà del tal o tal’altro metodo – utilizziamo degli oggetti, delle cose per misurare l’effetto delle azioni.

Ottenuti i risultati – e solo a questo punto – ci immergiamo nella valutazione. Diamo cioè un significato a quelle che sono delle cifre, che di per loro poco o nulla ci dicono. Attuiamo quindi un’operazione di sense-making che sola può gettare luce su quanto abbiamo compiuto o andremo a compiere.

La vuota cifra acquisisce così significato: una riduzione del 5% del tempo necessario alla cura di un bambino con disabilità significa che l’organizzazione è riuscita non solo ad accudire quella persona, ma che – neanche troppo indirettamente – è riuscita a prendersi cura anche della famiglia. Ottenendo così un risultato del tutto positivo, migliorabile come qualsiasi cosa ovviamente, ma positivo.

L’umanità di Protagora non è (più) quindi il metro epistemologico che definisce la verità delle cose. Bensì, al contrario, è il correlato oggettivo: ciò tramite cui valutiamo la bontà (o meno) delle nostre azioni i cui effetti – solo in virtù dell’umano – possono dirsi positivi o meno.

Edoardo Fregonese, Educational Expert del Cottino Social Impact Campus


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Come le sfide dell’impatto sociale hanno portato alla generazione di nuove capacità e competenze per 25 imprese e 90 studenti del territorio

Sono passati solo 2 mesi da Impact Day, l’evento di conclusione del programma Impact Prototypes Labs, avvenuto lo scorso 15 luglio e che ha visto la partecipazione di 25 aziende del territorio coinvolte in una sfida ad alto impatto sociale insieme agli studenti del Politecnico di Torino.

Questa seconda edizione del programma di sviluppo di soluzioni prototipali ad alto impatto sociale è stata possibile soprattutto grazie alla collaborazione con i partner del Cottino Social Impact Campus, i quali hanno speso le proprie energie per l’ottimale realizzazione dell’iniziativa.


Grazie, dunque, al Politecnico di Torino, Camera di Commercio di Torino, Unicredit, Unione Industriale Torino, API Torino, Confindustria Canavese, insieme per Torino Social Impact.

Impact Prototypes Labs rappresenta l’evoluzione dell’innovazione sociale per il settore profit che cerca di orientare il suo sguardo verso la generazione di impatto sociale. Attraverso la formazione specialistica e l’affiancamento con tutor esperti, IP Labs indirizza imprenditori e studenti verso i nuovi orizzonti dell’impatto sociale, affrontando sfide di progettazione e produzione per creare un nuovo asset industriale, fatto da world-makers.

In attesa del lancio della terza edizione di Impact Prototypes Labs, guarda il video della seconda edizione appena conclusa e lasciati ispirare dai progetti e dal coinvolgimento dei partner!


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Momenti storici che si caratterizzano per alta discontinuità rispetto ai tempi precedenti richiedono disposizioni mentali differenti.

La trasposizione sul piano digitale di linguaggi analogici, la commistione tra AI e intelligenze umane, la sovrapposizione tra dinamiche globali e locali, sono solo alcune delle driving forces che richiedono urgentemente un aggiornamento delle nostre lenti cognitive. 

In questa cornice, l’aumento vertiginoso di complessità e incertezza ha reso i mindset tradizionali “obsoleti” e la loro applicazione un fattore di rischio per il decision-making.   Parlare di obsolescenza non è questione di moda ma epistemologica: i mindset sono strutture di conoscenza plasmate sulla base dall’esperienza passata che impattano i modi di percepire, pensare e attribuire di cui facciamo uso nel presente. Sono forme di memoria vivente che, nelle fasi storiche ricche di trasformazioni radicali, producono bias ossia credenze che portano a giudizi-valutazioni erronei in modo automatico e inconsapevole. Ergo, la necessità di un cambiamento di mentalità. 

Il Foresight Mindset è un insieme di atteggiamenti mentali, lenti cognitive e schemi di credenze per la gestione delle transizioni.

È un mindset che nasce appositamente per supportare processi di decision-making trasformativi nei momenti in cui la discontinuità impedisce di applicare al domani ciò che vi era ieri (“fenomeno del presentismo”). 

Messo a confronto ad esempio con il celebre growth mindset” (Carol Dweck, 2007), il Foresight Mindset ne ingloba le qualità e al contempo se ne distingue per tre specifiche dimensioni


  1. Uso strategico della temporalità: il futuro viene concepito come lente cognitiva e si utilizzano ottiche temporali di medio-lungo termine come dispositivi strumentali per cogliere le possibilità inedite del presente
  2. Finalità trasformative: nel Foresight Mindset si promuove l’assunzione di prospettive osservative divergenti con l’esplicito obiettivo di innescare processi di cambiamento 
  3. Gestione strumentale della complessità: mentre nei mindset tradizionali l’informazione ambigua e incompleta è considerata limite, nel Foresight Mindset la complessità e l’incertezza sono risorse per il processo decisionale 

“Non scrivere mai di un posto finché non sei lontano da esso, perché ciò ti dà una prospettiva”, scriveva Ernest Hemingway.

Parafrasando la citazione nel terreno del Future&Foresight, affermiamo che non è possibile acquisire una lettura consapevole delle possibilità del presente se non lo osserviamo con gli occhi del futuro. 

La costruzione di politiche d’impatto e strategie di innovazione necessita anzitutto di una preliminare ristrutturazione cognitiva che ci insegni a vedere “l’inevitabile” come “uno dei possibili”.  

Nella Foresight Academy viene dedicato tempo e spazio all’attivazione della mentalità orientata al futuro. La formazione di un Foresight mindset assolve almeno una duplice funzione. La prima, di metterci in guardia dai bias che quotidianamente disorientano le nostre strategie di sviluppo attraverso la promozione di consapevolezza rispetto agli strumenti cognitivi della nostra “cassetta degli attrezzi”. La seconda, di dotarci delle competenze necessarie alla trasformazione dei limiti posti dalle sfide contemporanee (incertezza e complessità) in risorse a servizio dell’innovazione e del cambiamento. 

Di Roby Parissi, Social Innovation Manager di ForwardTo – Studi e competenze per scenari futuri.

Vuoi saperne di più sulla Foresight Mindset?

Consulta la pagina Foresight Academy dedicata sul nostro sito.


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Cosa fareste se, fra dieci anni, vi ritrovaste un robot per casa, capace di provare tutta la gamma delle emozioni umane?
Potrebbe essere un normale device, come lo smartphone, capace di sostituirvi a lavoro o di diventare il vostro coach dedicato.

Che impatto avrebbe sulla vostra vita e come cambierebbero le relazioni affettive e professionali con gli altri?

Se non ci avete mai pensato, è ora di cominciare a provare. Immaginare, disegnare, valutare e perseguire la realizzazione di specifici scenari futuri è la palestra in cui sviluppare l’attitudine a esplorare le possibilità del domani. La scansione dei possibili può essere attivata non solo per le grandi tematiche che riguardano l’umanità (per es. il cambiamento climatico), la vostra azienda (es. nuovi mercati, opportunità all’orizzonte, criticità e rischi) o per le attività riguardanti il vostro futuro prossimo (dove andrete in vacanza), possiamo infatti imparare a influenzare le dinamiche e gli scenari in cui ci muoviamo per realizzare la versione preferita di noi stessi

Come?

Iniziamo a sfatare qualche mito: il futuro non si può predire. Dimentichiamo cartomanti, sensitivi e consulenti che sembrano custodire la verità. Il futuro non esiste ancora e quindi non può essere predetto, per questo diffidate di chi vi propone una versione unica di futuro. Il futuro è sempre plurale.
Davanti a noi c’è un cono di scenari futuri più o meno probabili, possibili e preferibili, che vanno identificati, analizzati e raccontati. Si tratta di uno dei fondamenti del Futures&Foresight, una disciplina nata nel secolo scorso per scopi militari e strategici, che negli anni ’60 ha iniziato a essere utilizzata in contesti organizzativi per anticipare scenari futuri. Fino a diventare, negli ultimi decenni, uno strumento necessario per i decision-makers per scatenare e attivare un percorso trasformativo.

Per rendere però questo processo solido in un contesto in cui l’accelerazione e l’incertezza sono condizioni diffuse, non va trascurata la componente personale del decision-maker.
Parliamo di Personal Futures, l’applicazione di metodologie Futures&Foresight non solo all’organizzazione, ma anche – con le opportune rimodulazioni – al singolo individuo, di cui parleremo in moduli dedicati a nella Foresight Academy realizzata in partnership tra il Cottino Social Impact Campus e Forwardto e in partenza ad ottobre.

A partire dagli studi dell’americano Verne Wheelwright e alla pubblicazione dei risultati della sua sperimentazione nel 2010, si è iniziato a comprendere quanto è importante guardare non solo all’impatto che le scelte dei decision-makers hanno sulle loro organizzazioni, ma anche (e oserei dire soprattutto) sul loro personale percorso di crescita professionale.  
La capacità di immaginare, disegnare, valutare e scegliere uno scenario futuro aspirazionale e strategico, è profondamente influenzata da alcune variabili personali del decision-maker, a cominciare dal suo sistema valoriale e da quanto esso sia sovrapponibile con quello dell’organizzazione di cui fa parte. 

Lavorare sulla consapevolezza di sé e sulla personale propensione (o disabitudine) a esplorare scenari futuri è un passaggio necessario per realizzare un percorso “future-proof”.
Come a dire che i sistemi percettivi, valoriali, relazionali e comportamentali di ognuno di noi, condizionano i processi di analisi strategica sul futuro del proprio contesto, settore, territorio, mercato. Chi prende decisioni in prospettiva per un’azienda, per esempio, identifica strategie e roadmap per realizzare un futuro auspicato nel lungo periodo (la visione strategica dell’organizzazione). Sarà un processo svolto con tanta più disinvoltura, rapidità, completezza ed efficacia, quanto più chi lo realizza ha consapevolezza dei Personal Futures, del proprio mindset di orientamento al futuro e delle proprie personali aspettative sul domani. 

Negli ultimi anni abbiamo studiato e testato le metodologie di Personal Futures sul campo, in contesti organizzativi a elevata complessità che stavano affrontando (o si preparavano ad affrontare) una fase di cambiamento profondo non solo di processo o di struttura, ma soprattutto di mentalità. Abbiamo aiutato decision-makers con percorsi integrati di Personal Futures (attivati per la prima volta in Italia) che hanno prodotto un’accelerazione nelle dinamiche trasformative, potenziando la loro capacità di:

E voi? Su quale versione di voi stessi volete iniziare a lavorare?
Per capirlo consultate la nostra pagina dedicata alla Foresight Academy in partenza ad ottobre!

Di Pierfrancesco Matarazzo, skill business coach e Personal Futures Developer di ForwardTo – Studi e competenze per scenari futuri.


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We Need More Startups That Don’t Prioritize Growth Above All Else” questo è il titolo dell’editoriale a firma Mara Zepeda e Jennifer Brandel di Zebra Unite pubblicato recentemente in Harvard Business Review.

Le due autrici, prendendo spunto dalle dichiarazioni della Business Roundtable, enfatizzano e ampliano i concetti emersi dopo la diffusione delle dichiarazioni post congressuali: “non è solo il profitto l’obiettivo delle aziende”, soprattutto delle nuove aziende che affrontano quotidianamente il mercato.

Ci sono altri fattori che devono essere presi in considerazione, che creano una cultura dell’impatto sociale e che determinano una crescita della collettività, del territorio e della ricchezza collettiva, in antitesi con quello che è il DNA delle aziende che hanno fatto e fanno business nei quattro angoli del globo.

Photo by MARK ADRIANE on Unsplash

Le autrici si spingono oltre e dichiarano che esistono “prove crescenti che dimostrano che le aziende sostenute da venture capital fino a ora hanno coltivato una “cultura tossica”, sfruttamento dei lavoratori e omogeneità sia nella leadership sia negli azionisti. In alcuni casi, queste aziende possono anche destabilizzare settori che sono alla base delle economie locali e arrivare a erodere le basi della democrazia”

According to one analysis, 82% of the venture capital industry is male, nearly 60% of the industry is white male, 40% of the industry comes from just two academic institutions. Meanwhile, 80% of all venture capital goes to only three states. Fewer than than 1% of venture capital backed founders are Black, and 3% are women.
Distributing ownership and governance to more stakeholders is the most direct way to make change.

Sono dati che impressionano e che fanno riflettere anche se riferite al solo contesto US. Le due autrici propongono tre possibili soluzioni.

We-Need-More-Startups-That-Don’t-Prioritize-Growth-Above-All-Else.pdfScarica PDF

(copyright Harvard Business Review, 09-2019)