L’esperienza dell’immigrazione può favorire lo sviluppo di preziose competenze trasversali, prime tra tutte quelle interculturali. Si tratta di soft skill che potrebbero contribuire significativamente a un incremento della performance economica delle aziende italiane, ormai parte di un mercato globalizzato e di una società spiccatamente multietnica.

Queste competenze, tuttavia, restano spesso invisibili e quindi inutilizzate, come anche quelle documentate dai titoli di studio conseguiti all’estero. Tra le persone migranti occupate in Italia, circa una su cinque ritiene di essere sovraqualificata rispetto al lavoro svolto (ISTAT, 2023) e ricerche evidenziano quanto sia complesso nel nostro paese pensare alla forza lavoro migrante come a un patrimonio di competenze da valorizzare.


In molti casi sono gli stessi migranti a non far leva sulle proprie competenze nella ricerca di un impiego. Ad esempio, sono pochissimi i cittadini stranieri che, in possesso di un titolo di studio acquisito all’estero, scelgano di attivarsi per il riconoscimento. Ciò dipende dalla convinzione, non infondata, che affrontare le complesse e costose procedure non porti ad alcun significativo vantaggio in termini di occupabilità o avanzamento di carriera. Questo si spiega con la persistenza di un modello di organizzazione del lavoro in cui la manodopera migrante tende a essere relegata ai livelli più bassi della gerarchia occupazionale. In effetti, tra gli occupati stranieri laureati, meno del 40% svolge una professione qualificata (Istat, 2023). E’ un dato che consente di stimare la portata di un sistematico sottoutilizzo del capitale umano disponibile.

E il fenomeno non riguarda solo i titoli di studio. Spesso fatica a venire a galla anche il ricco patrimonio di competenze acquisite dai migranti in contesti non formali e informali. Se durante un colloquio di lavoro venisse ad esempio esplorata l’esperienza lavorativa maturata dalla persona migrante nel paese d’origine, potrebbero emergere hard o soft skill valorizzabili anche nel nuovo contesto.

Per il mercato del lavoro italiano è oggi cruciale sprigionare questo potenziale latente. Ciò avrebbe indubbie ricadute positive sia in termini economici sia in termini sociali. Le organizzazioni del lavoro possono giocare un ruolo fondamentale in tale processo, attivando meccanismi di
allocazione delle risorse umane in grado di cogliere a pieno le competenze dei migranti. In questo modo le aziende si farebbero fautrici di un modello di integrazione economica strutturalmente equo e non discriminatorio.

Esistono metodologie ad hoc, che un sapere esperto può rendere accessibili, in grado di favorire il riconoscimento e la valorizzazione delle competenze dei migranti in diverse fasi, dalla selezione allo sviluppo di carriera. Si tratta di strumenti pensati per facilitare l’emersione delle potenzialità di ciascuno, anche in presenza di barriere linguistiche o culturali. A ben vedere, quindi, tali metodologie offrono vantaggi che non riguardano solo le risorse umane migranti. Esse infatti consentono di cogliere le risorse di ogni singola persona, a prescindere dall’origine e dall’appartenenza etnica, ma anche da ogni altro tipo di diversità che, complessificando la comunicazione interpersonale, potrebbe ostacolare la messa a fuoco di un potenziale.

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Innovare le strategie di people management

Nella trama dei rapporti che legano le imprese al loro territorio e agli attori che lo compongono, l’azienda non è solo un soggetto economico, ma anche un soggetto sociale e culturale

Le azioni di DEI sono pienamente inscritte nel processo strategico per la costruzione di nuovi equilibri tra crescita economica, sostenibilità, benessere delle persone e coesione sociale. 

Gli specialisti delle Risorse Umane devono agire con competenza e consapevolezza il loro ruolo di attori strategici, purpose players e generatori di un impatto addizionale e misurabile, rendendosi “pionieri interni” di politiche e pratiche innovative ma al tempo stesso coerenti con la cultura organizzativa e con l’identità valoriale ed etica dell’azienda. 

L’insieme di vincoli e opportunità (PNRR, ESG, Agenda 2030) oggi in campo sollecita le imprese a mettere a valore i molteplici vantaggi di una gestione consapevole di diversità, equità e inclusione nella cura delle risorse umane, nel riposizionamento competitivo dell’impresa, nel rafforzamento delle sinergie con gli stakeholder.

✔️ Disabilità, ageing, genere, multiculturalità: le dimensioni della Diversity, Equity, Inclusion e il ruolo strategico delle Risorse Umane

✔️ Accompagnare le organizzazioni nello sviluppo di un modello di gestione  in cui possano crescere l’ascolto, l’empatia, la fiducia, il coinvolgimento, l’inclusione

✔️ Sviluppare la propria strategia di HR people management ad impatto  in ottica DEI

✔️ Gli indicatori e le metriche per misurare le politiche DEI in azienda

✔️ Best practice aziendali in ambito DEI

In questo Conversation Meeting dialogheremo con Laura Zanfrini, Direttore Scientifico del pillar Cottino Social Impact Campus e Istud Business School DEI: Diversity, Equity, Inclusion” e Professore ordinario presso l’Università Cattolica di Milano, Caterina Soldi, Development & Program Manager Cottino Social Impact Campus e alcune aziende ospiti impegnate a sostenere i valori di diversità, equità e inclusione attraverso l’adozione di processi aziendali, strutture organizzative e iniziative gestionali: tra le quali AB Holding Spa, AIDP Piemonte e Valle d’Aosta e Reale Mutua Assicurazioni.

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📆 Quando? martedì 7 novembre
🕣 A che ora? 12.00 – 13.00
📱  Dove? In diretta social LinkedIn ISTUD e sui siti ISTUD Business School e Cottino Social Impact Campus